Carla
Carla
Carla è una piacente donna di mezza età. Ha già partecipato ad alcuni incontri pur senza mai avere costellato. Si accomoda accanto a me titubante, timorosa. Racconta di una famiglia di origine disgregata, disunita, in cui ognuno pensa a sé. Con i suoi tre fratelli il rapporto è saltuario, frammentato; nessuno di loro vuole occuparsi dell’anziana madre, se ne occupa lei per un senso di dovere e perché vive in prossimità dell’abitazione della madre. Di colpo vira il suo racconto dicendo che a nove anni lo zio materno le fece “ciò che non dovrebbe accadere”. Carla non riesce a dire i termini corretti, io rispetterò questa sua scelta. Dopo qualche anno lo zio rivolse le sue attenzioni al fratello minore di Carla. Lei recentemente ha raccontato l’esperienza alla madre, ricevendone in cambio minimizzazione e fuga. Lo zio è ancora vivente, ormai anziano.
Le vittime di abusi sessuali tendono molto spesso, se non sempre, a colpevolizzarsi e a cercare una qualunque forma di logicità in ciò che è avvenuto. Questo meccanismo di difesa permette, dato che la mente non accetta il caos e ha bisogno sempre di categorizzare gli eventi, di dare una spiegazione anche laddove non ci sia. Così la soluzione più immediata è darsi la colpa, che permette di dare quanto meno un senso ancorché falsato dell’accaduto. Qui i segnali della colpa sono già evidenti e articolati e mi chiedo se si paleseranno nella costellazione.
Lei rimane seduta, sceglie una persona che la rappresenti e la posizione al centro del campo, poi si risiede accanto a me. La sua rappresentante è statica; dopo qualche minuto faccio entrare la rappresentante della madre,quindi il rappresentante del fratello maggiore, gli unici due che sono a conoscenza degli abusi subiti. I tre iniziano una danza di dolore e colpa, non si danno pace e ognuno si sente in colpa verso l’alto. Carla prova rabbia verso la madre che ha minimizzato e che comunque non l’ha saputa proteggere. In questa danza antica lentamente ma inesorabilmente si fa strada una figura che lentamente occupa tutto il campo; è talmente forte che viene percepita chiaramente anche dagli astanti seduti in cerchio. Si diffonde una certa inquietudine. Comprendo che questa figura, che ovviamente è lo zio materno, è una figura dirimente nella vita di Carla, tuttavia sono titubante nel coinvolgerla nella costellazione. Dopo qualche minuto Carla mi viene in soccorso dicendo chiaramente che vorrebbe far entrare lo zio, quindi chiedo alle persone sedute se vogliono rappresentare lo zio, ma tutti si rifiutano. Entro quindi io nel campo, lasciando per un attimo i panni del facilitatore. È un momento cruciale, chissà da quanto tempo Carla voleva stare faccia a faccia col suo abusatore, non posso lasciare correre. Entro nel campo e subito sono attratto dalla rappresentante di Carla, non ho particolari pensieri solo il bisogno di soddisfare un desiderio. Il fratello maggiore si frappone tra noi proteggendola, Carla mi fissa spaventata e al contempo furiosa; è completamente concentrata su di me, non esiste nient’altro. Provo un paio di avvicinamenti ma non riesco perché il fratello me lo impedisce. Rimango così qualche minuto, quindi dopo qualche minuto chiedo ai partecipanti di mandarmi via. Loro mi chiedono di uscire con gentilezza e io non mi muovo, poi chiedono con sempre maggiore insistenza e decisione ma come unico risultato ottengono che io mi sposti verso laa periferia del campo rimanendone però dentro. Carla finalmente dice una frase fondamentale, trasformativa, non mi guarda più con odio, mi guarda quasi un compassione e mi dice “non sei così importante nella mia vita, la tua figura è relativa, puoi andartene”. Questo scioglie qualcosa dentro di me, il fratello mi ribadisce il fermo intento di mandarmi via. Riesco ad uscire dal campo tornando a vestire i panni del facilitatore. Lascio qualche minuto Carla con la madre e il fratello. Lei saluta entrambi ringraziandoli per quello che hanno fatto.
Carla è incapsulata in un passato doloroso di cose che sono andate come lei non voleva; nella sua famiglia è entrato un veleno che ha pesantemente inquinato il sistema. Carla si carica di troppe responsabilità, non riesce a vedersi come parte lesa ma come colei che non ha fatto abbastanza per proteggere la famiglia dall’avvelenamento. Si sente responsabile delle incomprensioni, della lontananza reciproca, dei non detti e del percorso che la sua famiglia ha fatto. Non vede la protezione, la coesione e l’affetto che invece c’è stato, soprattutto tra fratelli. Lei deve liberarsi da una presunta colpa che non le appartiene, accogliere il percorso che il sistema ha fatto e portare, se vorrà, armonia ed accettazione. Queste sono energie che si diffonderanno nel sistema purificandolo dal veleno. Il tempo dell’immolazione e dell’autoflagellazione è finito.
Per quanto riguarda l’evento in sé, cioè gli abusi sessuali, Carla intanto è riuscita a parlarne con qualcuno, poi è riuscita a confrontarsi con la figura dominante dello zio comprendendo che è meno forte e imponente di ciò che credeva, poi ha intravisto l’amore e la vicinanza reciproca malgrado la sofferenza del sistema. Se riuscirà ad unire le tre cose:
1-sono più forte di ciò che credo
2-la mia famiglia mi ha protetto a modo suo
3-non sono responsabile di quello che è accaduto
unendovi forse un qualche tipo di percorso terapeutico, potrà avere la possibilità di sciogliere questo importante nodo.